Ammetto: Sei la parte rutilante della mia superficie
incolore. Essa, la chiamo anima, molte volte, quando
sono nell’imbarazzo meridiano del puro esistere. Il sole
incolore picchia sul mio cocuzzolo, la cosiddetta anima cuculia
beffandosi della mia convinzione monolitica che è integra,
grazie a Dio, intatta. Sei la parte rutilante della
mia quasi anima, un quasar pulsante nella sporca, obnubilante
realtà fisica: più dell’umano,
più dell’animale, meno di tutto, pensano molti che
non conoscono la moltitudine. Appartenendo a tutti
sei invisibile a tanti. Solo gli invisibili non giudicano, non
misurano. Loro custodiscono l’Abbracciante, toccando
dappertutto. Mi appartieni più
dell’animale, tocchi il non circoscritto dentro di
me. Sei la parte rutilante che cola calda sulla mia
quasi anima, sprofondando verso la cavità uterale, verso il
naufragio del plesso solare. Resusciti le cose morte, il cargo-fantasma
abbandonato dentro lo stretto passaggio del mio cuore. Riesco
a vederti (i cristiani lo chiamano miracolo) in questi tempi che tutti
gli apocalittici chiamano bui, non splendi, ma ardi, arde la parte
rutilante della mia quasi quasar anima, chiedendo di scottarsi. Solo
scottati intravediamo la profonda gentilezza, la non celata tenerezza
del mondo. Non sono capace di evitarti
più, come allora: il tuo fisico è la mia
apocalisse, la rivelazione che rialza il mio fondamento. Adesso mi
fondo in te, nella tua opulenta conoscenza di mondi possibili, mondi
puri, slancio teso verso di me. Hai rovesciato tutti
gli oggetti del mio mondo, l’apparenza della loro
stabilità fenomenologica. Il loro peso precipitato su di me
comprime le mie membra, mi frantuma, sto diventando oleosa, liquido
dorato, cibo dei viventi.
|